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Giardini indecisi: intervista al regista Emilio Tremolada

Giardini indecisi
vivaio terraluna

Un po’ di tempo fa ho ricevuto una telefonata, un regista di nome Emilio Tremolada mi chiedeva se poteva fare alcune riprese del mio giardino per inserirle nel suo nuovo film, Giardini indecisi.

Il titolo e la spiegazione che mi ha fornito mi hanno convinta, e così negli anni della pandemia Emilio è venuto a riprendere le fioriture e a registrare la mia voce. Ora il film è pronto e sta iniziando a girare per festival e rassegne, così per parlarvene ho pensato che il modo migliore fosse intervistare direttamente il regista.

Buongiorno Emilio, ci racconti la tua carriera e come sei arrivato alla videocamera?

Ho iniziato a lavorare come fotoreporter nel 1975, erano anni di fervore e impegno politico sociale e io facevo la fotografia politico-sociale. Ero appassionato di fotografia e un giorno mi son detto: sono un fotoreporter. Ho iniziato a fotografare gli eventi, gli accadimenti e la vita quotidiana.

In quegli anni la fotografia di reportage indipendente, cioè quella non fatta da fotografi direttamente assunti dai giornali e dalle agenzie, era veicolata da agenzie di distribuzione indipendenti. Io collaboravo con DFP e Grazia Neri che proponevano e vendevano le foto ai giornali.

Nel 1978 il conflitto politico si è fatto veramente duro, l’uccisione di Moro, il terrorismo diffuso… mi son tolto ero stufo di fotografare le persone e la realtà. Mi sono messo a fare fotografia non reale, fotografia creativa o possiamo anche dire “soggettiva”, fotomontaggi, illustrazioni fotografiche per l’editoria.

Nel 1985 l’incontro con il design, sono stato chiamato a fare le copertine di una rivista di progetto prestigiosa come era MODO. Così ho iniziato a praticare un po’ tutti i generi della fotografia professionale: ritratto, still life, interni, industriale. Mi sono inserito e sono rimasto legato al design e ho lavorato con diverse aziende e per l’editoria del design-arredamento. Ho continuato a conservare però il mio modo di lavorare da free lance, facevo dei reportage sugli interni di case che poi proponevo alle riviste e poi anche reportage sui giardini.

Alle riprese filmate ci sono arrivato nel 2012, la professione del fotografo diventava digitale e diverso diventava anche il modo di comunicare. Per un’azienda con cui lavoravo ho iniziato a fare brevi filmati sui prodotti da pubblicare sul loro sito. Da questo mi è venuta il desiderio di realizzare dei corti con interviste e racconti con personaggi storici del design italiano e così è nato il progetto design[in]video dove continuo a raccontare il design. All’inizio erano dei corti e poi pian piano sempre più lunghi fino a lavorare ora soprattutto a lungometraggi.

Tu vivi a Milano, cosa ti ha fatto avvicinare al mondo dei giardini e appassionare tanto da farli diventare soggetto di alcuni tuoi film (I giardini del Casoncello, Giardini indecisi, …)?

A metà degli anni ’90 ho iniziato a fotografare i vegetali: fiori, piante, foglie, semi. Con il mio approccio da “fotografo di design” ho iniziato a fotografare forme vegetali. Da lì ho iniziato a appassionarmi e ho iniziato a fotografare giardini anche con il pensiero di proporre i reportage dei giardini alle riviste. Questa oltre a essere una cosa che mi piaceva e interessava fare è stata “una piacevole compensazione al fatturato del mio lavoro di fotografo”, non è che tutti i reportage fatti poi riuscivo a venderli alle riviste ma diciamo che mi è andata bene e mi ha permesso di viaggiare e visitare molti giardini anche in Francia e Inghilterra.

È stato proprio visitando e fotografando Great Dixter il giardino di Christopher Lloyd che ho avuto l’illuminazione e la passione per il giardino, una passione estetica. Non sono un giardiniere e l’unica dedizione che ho avuto per le piante è stato una disastrosa passione per il bonsai: morti o donati a più determinati appassionati.

In quel periodo ho incontrato anche i Giardini del Casoncello sulle prime colline dell’Appennino bolognese. Mia madre è originaria di quelle zone e abbiamo ancora una piccola casa in Appennino. Vagando ho incontrato il giardino e Gabriella, che è una giardiniera carismatica e mi ha appassionato il suo modo, la sua pratica e il suo pensiero di giardino. Ho fotografato diverse volte il giardino e poi nel 2012 ho iniziato a fare riprese e poi è diventato il pensiero di farne un film.

L’ho filmato fino al 2018 e così è diventato “Il tempo del Casoncello”, presentato nel 2019 poi fermato dalla pandemia, e ora è in giro. La mia è diventata una specie di ossessione per il paesaggio e per le piante, per i giardini e i giardinieri ma soprattutto le giardiniere, donne sempre forti, determinate, decise da cui non si può che imparare e non solo in giardino.

Come è nato il progetto di Giardini indecisi?

Fotografavo giardini e andavo in montagna in Sud Tirolo e mi appassionavano gli orti, con gli ortaggi e sempre tantissimi fiori, alcuni erano pieni di dalie. Io avevo questa memoria dell’orto che faceva mio padre, ero piccolo e ricordo che nell’orto aveva le dalie. Una domenica sì e una no, da piccolo, mi toccava la gita al cimitero, sul sellino della bicicletta con le dalie. Erano i fiori da portare al cimitero, si mettevano nell’orto perché erano belle e per portarle al cimitero. Poi purtroppo si è persa questa abitudine all’orto fiorito e alle dalie, per fortuna ora inizio di nuovo a rivederle in alcuni giardini.

Negli orti di montagna questa abitudine ad avere un giardino d’utilità e un giardino di bellezza, di decorazione, si conserva ancora, anche se la modernità sta facendo sempre più perdere questa abitudine. Così fotografavo gli orti che non erano giardini, mancava la “decisione” per chiamarli giardini. È nato così il pensiero dei giardini indecisi, quando li incontravo li fotografavo, in Tirolo c’erano e ci sono ancora giardini con le case dei nanetti, giardini con i gatti, fiori, girandole di plastica e pezzi di legni ricurvi, piume e ossa portabuono, in città aiole di malvoni, ai bordi delle stazioni di servizio iris e salvie che crescono da sole, e giardini con il bambi e la cucinetta di plastica e cariolina gioco bimbo.

Il pensiero del documentario Giardini Indecisi si è concretizzata nell’autunno 2020, in una pausa delle pandemia. Vedendo il grande bosco incolto che occupa la zona della ex fabbrica Innocenti in zona Lambrate-Rubattino ho deciso che quello era il via per il film. L’idea era mettere insieme luoghi incolti, giardini, orti, paesaggi vegetali, dove non era deciso esattamente l’essere un giardino, dove c’era spazio per modifiche, variazioni, aggiunte, abbandoni e ritorni di persone e piante. Insomma ero finito senza accorgermene nel giardino in movimento nel “Gilles Clement Pensiero”.

Del resto il primo giardino così, cioè in movimento, è stato proprio il Casoncello di Gabriella Buccioli, dove ci sono piante introdotte e piante che arrivavano e si spostano, piante che muoiono o cadono sotto il peso della neve e si modifica l’aspetto del giardino, che cambia indipendente dal controllo e dal progetto del giardiniere. Penso che questi cambiamenti del giardino, che accadono malgrado il giardiniere, debbano essere accolti e benvoluti.

La mia è una dichiarazione da non giardiniere, ma sono convinto che non si possa più concepire un giardino con passaggi e confini tra le piante determinate in un disegno a tavolino. Così sono andato a cercare: giardini indecisi, senza recinto e senza giardinieri, e quando il giardiniere c’è, il suo fare non è assoluto, preciso e impositivo verso le piante ma semmai coadiuvante del loro muoversi.

Insomma a morte i giardini esatti, decisi e disegnati, a morte i “parterre de broderie”, che non c’è nemmeno bisogno di diventare dei killer, moriranno da soli.

Qual è il messaggio che accomuna tutti i giardini ripresi nel film?

È l’indecisione, è l’essere e accettare in giardino anche quello che potrà accadere. Prima ho citato Gilles Clement, non lo avevo mai letto, quel che sapevo fino ad ora erano quelle parole d’ordine che sono i titoli dei suoi libri —giardino in movimento, terzo paesaggio, giardino planetario, elogio delle vagabonde— ho letto un mese fa “Manifesto del Terzo paesaggio” nelle prime pagine usa spesso la parola “indecisi” la cosa mi ha molto lusingato, in ritardo ma ci sono arrivato anch’io a questo pensiero.

Penso che bisogna guardare tutto come un giardino e c’è il tuo giardino che è un progetto con recinto, frutteto, uccelli, orto, fiori, insetti, comunità di piante, insetti impollinatori, galli e galline, figli che tengono al Milan e campi di calcio… tutti spazi indecisi dove poi per non far mancare niente ci aggiungi un promettente vivaio fonte di guadagno e appagamento del tuo fare e della tua passione.

Diversamente lo spazio con fiori di Benedetta, con le sue api regine, è totalmente diverso dal tuo giardino o dal giardino di Lara o di Francesca, non è un giardino, ma è pieno di fiori, borragine, erba medica, cercis, facelia, pruni, topinambur, edera, achillea, buddleia e poi fino a tre chilometri di distanza, fin dove si spingono le api: coriandolo, ravanello, cicoria delle colture intensive…

Nel film ci sono giardini diversi, giardini con recinto e senza recinto, recinti con giardiniere e senza giardiniere, e alla fine del… diciamo mio racconto indeciso… vien fuori la domanda che non ha risposta… “cosa fa di un giardino un giardino?”

La crisi climatica è un fatto ormai riconosciuto. Secondo te fare giardinaggio e agricoltura in un certo modo è diventato un atto politico?

Si certo è dichiarazione e atto politico, ma questo tema questa domanda è troppo grande per me non ho la risposta. Io credo che potendo, come anche tu dici nel film, “poter fare giardinaggio fa bene al pianeta ma prima di tutto fa bene a se stessi” per l’attenzione che si dà alle cose semplici, e per la qualità di quello che ci si autoproduce per mangiarlo. Credo sia importante pensare a un giardino di utilità con ortaggi e frutta e fiori e quindi decorazione e bellezza dello spazio attorno a se stessi.

Poi siamo in tanti e tutti affamati, e chi ha meno è più affamato di noi, quindi come si possa fare agricoltura per tutti e protezione del clima è un pensiero troppo grande che non riesco ad avere.

Dove potremo vedere prossimamente Giardini Indecisi?

Il film sarà proiettato sabato 8 ottobre a Milano in occasione del Forum Ambiente, sarà alle 16,30 alla Cineteca Milano Cinema Arlecchino. Poi è in giro per diversi festival e poi sarà in primavera alla seconda edizione della rassegna Oltre il Giardino a Forlì. Ne approfitto per dire agli amici giardinieri o appassionati o battaglieri ambientalisti, che sono lieto di collaborare per il progetto e realizzazione di rassegne a tema giardino, ambiente, paesaggio, i miei film sono disponibili e anche le idee del come fare. Chiamatemi che arrivo.

Ringrazio Emilio e vi invito a partecipare alle proiezioni o a chiamarlo per organizzarne altre.

emiliotremolada.it

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